Al Teatro del Grillo, Valentina Lodovini porta in scena il testo di Dario Fo e Franca Rame, per la regia di Sergio Mabellini, che a distanza di quarantacinque anni sorprende ancora per la sua prorompente attualità.
Quattro donne molto diverse fra loro. Divertenti, esilaranti, commoventi e drammatiche. Quattro donne che raccontano il proprio quotidiano, troppo spesso caratterizzato da violenze e sopraffazioni. Un testo di Dario Fo e Franca Rame, scritto nel 1977, diventato un cult del mondo teatrale.
Un testo storico, che da sempre mantiene immutate forza comica e portata sociale andato in scena al Teatro del Grillo di Soverato diretto da Claudio Rombolà nel penultimo appuntamento di una stagione che ha dato risalto all’universo femminile sia per quanto riguarda le interpreti che le storie che hanno ruotato attorno a loro. Anche se in “Tutta casa letto e chiesa” il vero protagonista è l’uomo, per cui la donna non è altro che un’entità subalterna da desiderare, ma raramente da comprendere e amare.
Quattro declinazioni dell’asservimento della donna al potere maschile, mirabilmente interpretate da Valentina Lodovini, capace di dar voce alla frustrazione di tutte le donne in uno spettacolo che sorprende per quanto sia ancora attuale (109 le donne uccise in Italia nei primi mesi del 2021 con una crescita del 5,8% rispetto alle 103 vittime censite nello stesso periodo dell’anno precedente. Fonte VIII Rapporto Eures sul femminicidio).
Il fil rouge che lega le storie e le protagoniste della pièce è uno solo: la descrizione degli abusi, delle violenze e delle frustrazioni.
Nel primo monologo la seducente attrice indossa una vestaglia a fiori che a tratti scopre una sottoveste nera ricamata, incarna una donna borghese che apparentemente svolge una vita normale tra le pareti domestiche. Ha un marito, due figli, una casa ben arredata con tanti elettrodomestici che l’aiutano nel suo lavoro di casalinga e con un frigo che “fa il ghiaccio a palline e non a cubetti”.
Ma parlando con la dirimpettaia si scopre che deve accudire un cognato “sporcaccione”, che riceve telefonate oscene da parte di uno sconosciuto, che il marito l’ha chiusa letteralmente in casa e che non ha mai raggiunto l’orgasmo durante i rapporti con il consorte. Una vita di inferno che accetta quasi con rassegnazione perché “dopotutto sono solo una donna”.
Lo spettacolo prosegue con l’interpretazione di una femminista che parla di famiglia, aborto (legale e clandestino) e maternità. Il tutto con lo spettro del proprio partner che la riduce a mero oggetto sessuale.
La Lodovini si trasforma poi in un’operaia che lavora alla catena di montaggio. Sempre in lotta contro il tempo, esasperata nel triplice ruolo di lavoratrice, madre e moglie. La regia di Sandro Mabellini introduce il personaggio di Alice nel Paese delle Meraviglie dove l’attenzione si concentra su quelle donne che fanno di tutto per piacere agli uomini ricorrendo persino alla chirurgia estetica per essere più desiderabili come impongono i dettami della società dell’apparire.
Lo spettacolo è tutto basato sulla bravura dell’attrice (applausi ad ogni cambio di registro che certificano il gradimento del pubblico) che interpreta con ironia e verità un testo dove si ride, e anche molto. Ma alla fine resta una grande amarezza perché la problematica in relazione allo strapotere maschile cerca ancora una soluzione.