COSENZA – Aveva quasi finito di scontare la sua pena, ma invece di pregustare il ritorno in libertà, Luciano Impieri ha ritenuto fosse giunta l’ora di liberarsi da se stesso. Il trentottenne cosentino, già organico al clan Rango-Zingari, ha iniziato infatti a collaborare con la giustizia.
I carabinieri sono andati a prelevarlo dalla sua abitazione per portarlo in un luogo sicuro, interrompendo così la sua reclusione ai domiciliari, conseguenza della condanna a cinque anni per associazione mafiosa incassata nell’ambito del processo “Nuova famiglia”. La sua defezione si aggiunge alle altre che, a partire dal 2014, hanno decimato il gruppo criminale a composizione mista zingari-italiani.
Non a caso, prima di lui hanno saltato il fosso elementi di spicco del clan come Franco Bruzzese, Adolfo Foggetti, Daniele Lamanna e personaggi di secondo piano come Ernesto Foggetti, Giuseppe Montemurro e Marco Massaro che, a turno e in tempi diversi, hanno svelato un po’ tutti i segreti dell’organizzazione divenuta egemone in città e nell’hinterland grazie al vuoto di potere venutosi a creare all’inizio nel decennio.
Tuttavia, se a loro si è aggiunto adesso un nuovo pentito, è perché evidentemente gli investigatori ritengono non ancora chiusa l’operazione verità su quella breve ma intensa stagione criminale, a partire proprio dai presunti legami con la politica rimasti fin qui sullo sfondo.
Di Impieri si sente parlare la prima volta nel 2006, quando sale ai disonori della cronaca per una lite in discoteca culminata nel ferimento a colpi di pistola di un calciatore paolano. Per quella vicenda, l’allora ventiseienne Luciano si vede infliggere otto anni di carcere per tentato omicidio e, negli anni successivi, lega il proprio nome ad altre inchieste per estorsioni, truffe e ricettazioni di automobili e, soprattutto, associazioni mafiose.
C’è anche lui, infatti, in “Telesis”, la monumentale indagine sul clan Bruni alias “Bella-Bella” del quale Rango-Zingari sarà una sanguinaria evoluzione. Impieri ne esce con un’assoluzione e partecipa alla nuova fase inaugurata con l’epurazione della famiglia Bruni e l’ingresso sulla scena di altri aspiranti boss.
Gli investigatori lo considerano come uno dei promotori del nuovo gruppo nato dalle ceneri del vecchio, una sorta di quadro intermedio che prende parte alle decisioni importanti del clan. Dura poco.
È Daniele Lamanna, persona a lui molto vicina, a illustrare le ragioni del loro distacco anticipato dalla cosca. Prima del dicembre 2014, data del blitz della Dda, qualcosa all’interno del gruppo non funziona più a dovere. Lamanna, il killer di Luca Bruni, ha vissuto come un’imposizione la morte del suo amico e, come se non bastasse, mal digerisce la leadership di Rango e lo strapotere dei nomadi.
Ne parla con Impieri che dapprima lo prende per pazzo, poi finisce per dargli ragione. Proprio la sua “dissociazione”, unitamente a motivi di salute, spingono tre mesi fa la Corte d’appello ad attenuargli la misura cautelare: passa dal carcere ai domiciliari, prologo a un’escalation che, con la svolta di poche ore fa, ha toccato il suo acme.