La Calabria condivide insieme alla Campania il record dei Comuni sciolti per mafia (rispettivamente 34 e 35%). Le province più colpite sono quelle di Reggio Calabria (59 scioglimenti) e Napoli (55 scioglimenti), pari al 40% di tutti i comuni delle due province.
Soltanto durante la legislatura che volge al termine sono stati sciolti nel complesso 64 enti locali, dei quali ben 26 negli ultimi 16 mesi, e colpisce il dato della Calabria con 34 scioglimenti.
Nell’approfondimento pubblicato sull’edizione cartacea di oggi del Quotidiano, si evidenzia che attualmente sono 29 le amministrazioni commissariate.
Dati e cifre che denotano la rilevanza di un fenomeno, secondo la Commissione parlamentare antimafia, che nella sua relazione finale presentata ieri al Senato dalla presidente Rosi Bindi sottolinea l’esigenza di «non attendere le inchieste della magistratura, come per lo più avviene adesso, per avviare gli accessi ispettivi, ma di procedere in via autonoma, non appena vi siano indizi o fondati rilievi su possibili condizionamenti della criminalità organizzata».
Che fare, dunque? «Superare le rigidità dell’attuale normativa che al termine della fase ispettiva, prevede solo due soluzioni: lo scioglimento dell’ente o la chiusura del procedimento», e adottare una «terza via» con la nomina di una «commissione di affiancamento» che accompagni il Comune in un percorso di risanamento. Questa la proposta della Commissione, secondo cui «va comunque rafforzata anche la fase dei commissariamenti straordinari, per assicurare una gestione efficace dei Comuni sciolti».
Il dossier dedica ampi spazi alla ‘ndrangheta, che, «profondamente radicata in Calabria, su cui esercita un asfissiante controllo del territorio e delle attività economiche e della pubblica amministrazione, si è insediata in tutte le regioni del Paese e mostra anche un marcato profilo transnazionale».
La relazione si sofferma sulla «struttura unitaria» riconosciuta dalla Cassazione nel processo Crimine-Infinito ma anche sulla «colonizzazione» dell’Italia centro-settentrionale e le capacità di condizionare l’economia legale grazie alla «convergenza di interessi con imprenditori senza scrupoli e alla rete di complicità con il mondo delle professioni e della politica locale».
Il dossier ripercorre anche l’inchiesta della Commissone sulle infiltrazioni mafiose nelle logge massoniche in Calabria e Sicilia, che ha permesso di identificare «un’alta percentuale (circa il 15%) di iscritti rimasti occulti grazie a generalità incomplete, inesistenti o nemmeno riportate». Ma è stata anche riscontrata la presenza di esponenti riconducibili a clan mafiosi in alcune logge sciolte nonché di iscritti alla massoneria all’interno di enti commissariati per mafia, quali Comuni e Asl.
Durante la stessa seduta, è stato evidenziato che, in vista del voto del 4 marzo prossimo, si registra troppo silenzio sulle mafie in questa campagna elettorale. Il ministro dell’Interno Marco Minniti, in occasione della presentazione della Relazione conclusiva del lavoro svolto dalla Commissione parlamentare antimafia, lancia l’allarme: «C’è il rischio concreto che le mafie possano condizionare il voto libero degli elettori» e se ne parla poco.
Preoccupazione rilanciata anche dal ministro della Giustizia Andrea Orlando, anch’egli presente all’iniziativa: «Credo sia un errore grave», ha detto, escludere il tema della mafia dalla campagna elettorale e «spero che le forze politiche in questi ultimi giorni pongano rimedio».