La famiglia di Roberto Jerinò, a distanza di quasi tre anni dalla morte del proprio congiunto, non ha ancora avuto risposte.
ROBERTO JERINO, DI Gioiosa Ionica, morto il 23 dicembre del 2014 mentre si trovava detenuto presso il carcere di Reggio Calabria, per cause tutte da accertare.
Jerino, ritenuto dai magistrati della DDA di Reggio Calabria e dalle forze dell’ordine un esponente di spicco dell’omonima cosca di ndrangheta di Gioiosa Ionica e nella Vallata del Torbido, era stato arrestato tre anni prima nell’ ambito dell’operazione “crimine 3”, La maxi inchiesta contro il narcotraffico gestito, secondo gli inquirenti, da alcuni clan della ndrangheta lungo l’asse Calabria-Sicilia-Laxio-Lombardia.
Non avendo ricevute ancora risposte dallo Stato sul decesso di Jerino, La famiglia si è rivolta alla penalista avvocato Maria Tassone la quale, ha subito posto in essere una serie di attività che puntano a chiarire alcune zone d’ombra del caso.
In particolare, il legale ha nominato, quale consulente tecnico di parte, il Prof. Peppino Pugliese, Specialista in Cardiochirurgia e malattie dell’apparato cardiovascolare, il quale ha analizzato la corposa documentazione medica in atti, fornendo la sua ricostruzione in merito al decesso del Jerinò.
L’Avvocato Tassone ha depositato, proprio nei giorni scorsi, presso l’ufficio del Dott. Calamita, Sostituto Procuratore incaricato per lo svolgimento delle indagini fin dalle prime fasi della vicenda, la suddetta consulenza medico-legale di parte a firma del Prof. Pugliese.
In quest’ottica, i familiari hanno piena fiducia nell’operato della Magistratura, certi che verranno compiuti tutti gli accertamenti necessari ad individuare eventuali responsabilità relative al decesso del proprio congiunto.Sulla vicenda è stata, inoltre, presentata un’interrogazione parlamentare già nel novembre 2015. Anche sotto tale aspetto la famiglia Jerinò ha cercato di trovare conforto, atteso che accertare la verità sulle condizioni in cui versava il proprio familiare e chiarire se vi siano responsabilità nella morte di una persona affidata alla custodia dello Stato è un punto fermo ed imprescindibile perché uno Stato di diritto e democratico possa definirsi tale.
L’avvocato dei familiari sottolinea come: “Faremo tutto quanto sarà necessario per far luce sulla vicenda.
Sono stata incaricata dai familiari del Jerinò solo da pochi mesi. Fin dall’inizio del mio intervento ho posto in essere una serie di attività necessari per stabilire le cause che hanno portato al decesso del Jerinò.
Che, si ricorda, al momento del suo ingresso in carcere non risultava affetto da alcuna patologia che potesse far presagire un evento così funesto.
Ho, quindi, innanzitutto deciso di avvalermi di un consulente medico specializzato in malattie cardiovascolari, docente presso l’Università di Bologna, il quale ha avuto il compito di approfondire il profilo tecnico-scientifico, rilevando quegli aspetti che finora, a mio parere, erano stati tralasciati.
Ora bisognerà attendere i tempi necessari affinché anche l’ufficio di Procura si possa pronunciare circa le questioni sollevate.”
Anche i familiari esprimono ancora una volta il proprio dolore: “Quello che ci fa più male è il fatto che Roberto Jerinò era un padre di famiglia che aveva tre figli. Né la moglie né i suoi figli e né i suoi nipoti potranno più rivederlo. Questo ci spinge a lottare per chiarire alcuni aspetti oscuri di questa vicenda che ha toccato nel profondo tutti noi. È giusto che tutti quelli che gli sono stati accanto in vita abbiano delle risposte. Avevamo già sofferto molto quando è stato portato in carcere, ma non ci saremmo mai aspettati di perderlo in un modo così tragico.”
In foto: avv. Maria Tassone