Quella messa a segno dalla Direzione distrettuale Antimafia di Reggio Calabria diretta dal procuratore Giovanni Bombardieri è una vasta operazione eseguita dell’Arma dei Carabinieri di Reggio Calabria, in esecuzione di un’ordinanza di applicazione di misura cautelare nei confronti di 13 persone, ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, estorsione, illecita concorrenza con violenza o minaccia e danneggiamento, aggravati dal metodo o delle finalità mafiose, e induzione indebita a dare o promettere utilità.
In particolare le indagini hanno permesso «di accertare la sistematica infiltrazione delle cosche calabresi nei lavori necessari alla realizzazione dei parchi eolici nelle province di Reggio Calabria, Catanzaro, Crotone e Vibo Valentia. Nel corso delle indagini sono stati documentati numerosi episodi estorsivi in danno delle aziende committenti, perfezionati grazie all’apporto di imprese colluse con le compagini mafiose egemoni sulle aree in cui sono state realizzate le opere».
Secondo l’inchiesta, «gli imprenditori – si legge nel dispositivo del gip – impegnati nella realizzazione di impianti di energia eolica dovevano necessariamente interfacciarsi con Antonino Paviglianiti, ritenuto intraneo alla cosca Paviglianiti, egemone nei comuni di San Lorenzo e Bagaladi (RC], mentre i parchi eolici crotonesi e vibonesi ricadevano nella competenza egemonia di altre due cosche mafiose, quella del Mancuso di Limbadi e quella dei Trapasso di Cutro (KR), mentre sui parchi eolici delle alte Serre calabresi imperavano gli Anello di Filadelfia».
L’indagine scaturisce dalla tentata estorsione ai danni della Gamesa Eolica Italia srl ed ha consentito di monitorare la fase finale della realizzazione di alcuni parchi eolici sul territorio calabrese (e precisamente i parchi di Piani di Lopa-Campi di S. Antonio, nella provincia di Reggio Calabria; il parco eolico di Amaroni, nella provincia di Catanzaro; il parco eolico di San Biagio, il parco eolico di Cutro ed il parco eolico di Joppolo, nella provincia di Crotone e di Vibo Valentia).
«Si è accertata – prosegue il testo – l’ingerenza estremamente invasiva della criminalità organizzata in diversi aspetti della costruzione del parco: dall’adeguamento delle arterie stradali attraversate dai mezzi di trasporto eccezionale (le così dette “Opere civili”), all’affidamento del servizio di vigilanza dell’area di cantiere, fino ad arrivare al trasporto ed al posizionamento delle turbine».
Spesso «i lavori erano affidati direttamente ad imprese collegate alle cosche competenti territorialmente; nei pochi casi in cui le cosche non riuscivano ad assicurarsi direttamente il lavoro, richiedevano ed ottenevano subappalti: le poche imprese non collegate alle cosche dovevano comunque subappaltare parte dei lavori alle ditte collegate alla criminalità e corrispondere una percentuale sull’importo dei lavori, pena l’esecuzione di danneggiamenti e furti in pregiudizio di materiali e mezzi di cantiere».
L’affidarsi alle cosche ed ai loro referenti, secondo quanto appurato, «era comunque “vantaggioso” per le società che realizzavano il parco eolico: le cosche garantivano loro un pacchetto ‘tutto compreso” in cui ai lavori appaltati era associata la “sicurezza sul cantiere” e la risoluzione di ogni intoppo burocratico con le amministrazioni comunali».
In particolare, «nel gestire l’affare eolico, le diverse cosche competenti nei vari territori calabresi interessati hanno dimostrato anche una elevata capacità di coesione e collaborazione tra loro, in nome del comune profitto generato dai business delle energie alternative: le cosche dominanti nei territori in cui sono stati realizzati i parchi eolici hanno ben compreso la non ordinarietà della costruzione del parco ed hanno accettato di dividere i profitti e decidere le imprese da far lavorare tenendo conto anche delle indicazioni delle cosche “esterne”: in tutti i parchi si noterà una mediazione tra le varie cosche (che talvolta porta anche ad accontentare soggetti provenienti da altri ambiti territoriali, quali ad esempio la ditta Runco di Cosenza)».
In tutto sono 17 gli indagati per sette dei quali è stato disposto l’arresto in carcere, mentre per altri 6 gli arresti domiciliari ecco chi sono:
IN CARCERE
- Evalto Giuseppe residente a Pizzo (VV) cl. 1963
- Paviglianiti Antonino Residente a Bagaladi (RC) cl. 1965
- Anello Rocco, Filadelfia (VV), classe 1961
- Errico Giuseppe, Cutro (KR) classe 1954
- Ielapi Romeo, Filadelfia classe 1972
- Mancuso Pantaleone Scarpuni, Limbadi (VV), 1961
- Trapasso Giovanni, Cutro (KR) classe 1948
AI DOMICILIARI
- D’Agostino Domenico Fedele, Vibo Valentia, classe 1958
- Scalfaro Francesco, Catanzaro, classe 1959
- Di Palma Riccardo, San Lupo (BN) classe 1972
- Fuoco Mario, Crotone classe 1951
- Giardino Giovanni, Maida classe 1972
- Scognamiglio Mario, Napoli, classe 1977
Inoltre sono stati sequestrati
- Autotrasporti F.RE. S.r.l. con sede a Pizzo
- Paviglianiti S.r.l. con sede a Reggio Calabria
- Ditta Ielapi Romeo con sede a Filadelfia
- Hipponion Global Security Service (D’Agostino Domenico impresa individuale)
- Hotel Ulisse ristorante Nausicaa dal 1971 a Maida
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