Una nuova importante tappa, per l’artista catanzarese Rosa Spina, stavolta nella città di Arezzo (dopo il recente successo a Palazzolo sull’Oglio e prima che al Castello di Cavernago) con le sue ultime pregevoli opere poste accanto a quelle ispirate dallo splendido contesto architettonico medioevale aretino, dalla lunga tradizione dei filati e dall’altrettanto antica oreficeria, e con, ancora, i convinti “omaggi” alla pittura di Piero della Francesca (in particolare alla sua invenzione della prospettiva) alla notazione musicale di Guido d’Arezzo e alla Giostra del Saracino.
Una sua intrigante mostra (ad ingresso libero) dal titolo “Micromacro metamorfosi”, che non mancherà di sorprendere, sarà possibile ammirare dal 10 marzo all’8 aprile nel prestigioso Atrio d’onore della Provincia di Arezzo (che patrocina l’evento, con l’organizzazione dell’Associazione Culturale Ailanthus, affiancata a Minotauro Fine Art Gallery, Meraviglia Italiana, Calabria d’Autore) con la curatela di Antonio Falbo, Salvatore Falbo, Roberto Messina e Antonella di Tommaso. L’inaugurazione è prevista sabato 10 aprile, alle ore 17.30 (con vernissage e aperitivodegustazione a cura di “Valori di Calabria”).
Vittorio Sgarbi scrive così sul corposo catalogo per Editoriale Giorgio Mondadori a lei dedicato: “avvicinerei l’arte di Rosa Spina allo spirito di certo Antiform americano degli scorsi Sessanta, in quanto ricerca di forme alternative (…). Fare arte col filo vuol dire, innanzitutto, meditare sul senso più intrinseco delle cose. (…) Ogni sua opera ha la particolarità tutta speciale di essere, nello stesso tempo, un linguaggio, il proprio artistico, e “il” linguaggio, funzionando come una presa di coscienza per via metaforica. (…) Strette, avvincenti questioni di forma, si propongono di continuo delle mete variate (…) sperimentando di volta in volta nuovi indirizzi, nuovi percorsi da battere”.
Sempre nel catalogo, spiega invece il giornalista Roberto Messina: “Accurata nei dettagli. Dal segno sapiente. Anticonformista e spregiudicata quanto basta per affrontare a viso aperto l’inaudito, l’astratto, il grottesco e il lezioso, Rosa Spina è una costruttivista, espressionista, astrattista moderna e globale, che porta in dono un nucleo di opere capaci di generare pathos tramite pochi, scarni elementi ottenuti da nette campiture di fili colorati che delineano immagini al limite tra idea di paesaggio e astrazione. Siamo nell’ambito del concettuale, con i materiali deviati dal loro uso comune verso davvero inusuali e con ardite ‘prospective pingendi’ che assumono significati inediti, stando dentro e fuori gli spazi dell’arte e mettendo sotto i riflettori il rimosso della società tra minimalismo e performance, tradizione e contemporaneità”.
I convinti elogi alla Spina (tra gli artisti di punta assieme a Angelo Brescianini e M’horò, della “factory” Minotauro Fine Art Gallery di Palazzolo sull’Oglio diretta da Diego Giudici) si sommano agli altri contributi scritti da Antonio Falbo, Salvatore Falbo, Maria Elena Loda, Giovanna Vecchio e Leo Strozzieri, tutti concordi sull’ultima e ben compiuta “micro-macro-metamorfosi” (definizione di Antonio Falbo) di quest’artista dal solido curriculum.
La misteriosa Calabria, terra elettiva di Rosa Spina (siciliana di origini), la regione che ha sentito il passo pensieroso di Pitagora, Campanella, Gioacchino da Fiore e Telesio, che ha visto materializzarsi i deliri visionari e le forme decise e fantasiose di un Mattia Preti e di altri potenti come Alfano, Jerace, Rito, Boccioni, tutti alla ricerca del loro “materiale”. Un luogo dove per secoli la tessitura di lino, cotone, lana e soprattutto seta, è stata un must artigianale, artistico ed economico: “ecco allora trovato l’humus di questa artista – afferma Antonella di Tommaso – fortemente volitiva e appassionata, che da tempo, con immane pazienza e tenacia, oltre che indiscutibile abilità, prova a ‘ricucire’ e vivificare il suo forte background con questi quadri che si potrebbero dire propriamente, e appunto, ‘cuciti’ e ‘tessuti’…“.
Dare continuità alle proprie figure col moto et il fiato chiesti da Leonardo, sembra questa, un’altra sua peculiarità, che tramite il segno sapiente dissolve armonia, regolarità e unità spaziale troppo semplici dell’arte classica, e innesta sequenze prospettiche esclusive, caratteri espressivi e concettuali “visionari” magnificamente soggettivi.