DALLA VAL DI SUSA ALLO STRETTO DI MESSINA LA LOTTA CONTINUA! IL 18 MAGGIO TUTTI A VILLA SAN GIOVANNI!
Il 18 maggio Potere al Popolo parteciperà alla manifestazione No Ponte a Villa San Giovanni per esprimere ancora una volta il NO alla costruzione del Ponte e per la difesa dello Stretto di Messina.
La manifestazione è, nello stesso tempo, la continuazione della mobilitazione del movimento di questi anni e di questi mesi e l’unificazione delle lotte contro le grandi opere e la devastazione ambientale e sociale del nostro territorio (Rigassificatore, eolico, ecc).
NOPONTE e NOTAV uniti nella lotta per riappropriarsi della gestione e del controllo democratico del territorio. Le opere pubbliche, ormai, di pubblico hanno solo i finanziamenti. L’Alta Velocità che doveva essere costruita con l’apporto maggioritario dei privati con tempi certi e costi certi, è ora realizzata solo con soldi pubblici girati ai privati delle grandi cordate del cemento e dell’asfalto, come ad esempio WeBuild (le stesse del Ponte).
La necessità trasportistica che viene tirata in ballo è semplicemente un modo per nascondere un grande affare speculativo/tangentizio. Nell’elenco di chi è coinvolto nella progettazione ci sono sigle note, come la Rocksoil, fondata dall’ex ministro Pietro Lunardi e ora in mano al figlio Giuseppe, oltre che già coinvolta nel vecchio progetto del 2011. E c’è anche la Proger spa, che nel Cda vede anche l’ex deputato Chicco Testa, l’ex presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua, la direttrice del Formez Patrizia Ravaioli e l’avvocato Andrea Mascetti, riferimento “culturale” della Lega.
Certamente non secondario è l’impatto che gli ingenti capitali attirati dal ponte avranno sulle mafie. Alcuni rapporti ufficiali affermano che il 40% del movimento terra sarà appannaggio della criminalità. Una cosa però è affermare che non è che non si può fare nulla perché c’è la mafia, altro è dire che con la mafia si deve convivere come fece l’ex ministro Lunardi (che puntualmente ritorna).
Il Ponte ancora non c’è, le consulenze, però, girano così come i guadagni su un progetto che deve ancora fornire centinaia di chiarimenti e affrontare verifiche decisive. L’impennata in Borsa delle aziende italiane, spagnole e giapponesi dentro il consorzio Eurolink lo dimostra: sono cresciute dal 15 al 30 per cento nell’ultimo anno. Il ponte serve a questo e non alle popolazioni di Calabria e Sicilia.
Il ponte che non si è mai fatto è costato già 1,2 miliardi e si prevede che costerà 14 miliardi di euro, naturalmente tutti soldi pubblici.
La lotta contro l’alta velocità e contro il ponte rappresenta la capacità delle popolazioni di mobilitarsi nei territori per dimostrare che queste opere non servono non solo al territorio su cui insistono, ma all’intero Paese, e che esistono soluzioni diverse per la risoluzione dei problemi legati alla mobilità ed ai trasporti, sicuramente più efficaci e di minore impatto ambientale.
La lotta contro il ponte continua a rappresentare la capacità del mezzogiorno di proporre all’intero paese un modello sociale e produttivo diverso per esso, che garantisca lavoro sicuro, onesto e di qualità, servizi pubblici di qualità, che rendano certi ed esigibili il diritto all’acqua, alla salute, alla scuola.
Un modello economico e produttivo autocentrato ed autopropulsivo, che tenga solamente conto delle risorse, ambientali, paesaggistiche, architettoniche, artistiche e storiche, delle risorse umane e dei saperi che il Sud possiede. Un Sud che non accetta più che altri decidano quale deve essere il suo ruolo.
Una grande opera: la grande opera! Questo è il ponte sullo stretto nell’agiografia di chi lo sponsorizza, per intenderci il ministro Salvini, Occhiuto, Schifani, presidenti, rispettivamente, delle regioni Calabria e Sicilia. Si sono scomodati i più famosi paragoni: fino alle sette meraviglie. Si sono scomodate pure le piramidi: grandi, ma luoghi di sepoltura di faraoni ritenuti dei.
La realtà supera la comicità. Eppure le piramidi richiamano il deserto. E, da associazione ad associazione, parlando del Sud Italia vengono in mente le cattedrali nel deserto dell’intervento pubblico a cui il Ponte sullo Stretto assomiglia come una goccia d’acqua.
Anche quegli interventi, infatti, pretendevano di sviluppare il sud con interventi massicci, invasivi, dall’esterno. Il Ponte sullo Stretto, una grande opera che dovrebbe fare da volano allo sviluppo e che, come gli interventi passati, è calato dall’alto, in modo irrazionale, distrugge ciò che c’è: un ambiente naturale e sociale, privandolo di risorse ambientali e finanziarie che potrebbero e dovrebbero essere utilizzate in altro modo.
Il tutto è ammantato dal miraggio dello sviluppo, dello sviluppo del sud: croce del paese, delizia di tanti approfittatori. Salvini continua a proporre la costruzione del Ponte sullo Stretto. Nonostante la guerra, la pandemia, la crisi economica e sociale drammatica, sarebbe solo folle pensare di perdere tempo (e soldi pubblici) a parlare di favole, ma a quanto pare i governi nazionali e regionali se ne infischiano.
Non è certo di un ponte irrealizzabile, sicuramente costosissimo nella costruzione e nel mantenimento, che le popolazioni calabre, che al continente sono collegate da sempre ma senza beneficio alcuno, e la Sicilia hanno bisogno.
La prima efficienza dovrebbe essere perseguita in loco rendendo efficienti i servizi locali dalle ferrovie, che stanno scomparendo sia sul lato calabro che su quello siciliano. Servirebbe l’integrazione fra FS e porti, a partire dal più grande porto transhipment del mediterraneo. Servirebbe un trasporto pubblico efficiente dentro per un traffico razionale e non caotico, strade sicure e non la SS106, (meglio conosciuta come strada della morte), acqua per tutti a fronte di una dispersione che tocca il 50%.
Servirebbe un ambiente sociale che favorisca l’intrapresa e dove lo sviluppo economico non è fagocitato da politiche clientelari e dal ruolo della criminalità organizzata.
Ciò che può rilanciare il sud è perseguire le sue vocazioni naturali senza distruggerle. Andare in vacanza a Rimini piuttosto che a Sciacca non è questione di ponti ma di organizzazione, di marketing.
Il ponte con tutto ciò nulla c’entra poiché non avrebbe effetti su gran parte della Calabria che al contrario verrà desertificata da un punto di vista sociale e trasportistico escluso, ovviamente, l’accesso al ponte. La stessa Sicilia non troverebbe granchè di giovamento poiché le merci non si avvalgono tanto di qualche decina di minuti di risparmio di percorrenza in meno.
Gli stessi abitanti di Reggio e Messina, oltre alla devastazione di zone importanti e di pregio, a fronte di una distanza via mare fra i due centri di circa 7/10 km (a secondo dei porti prescelti) dovrebbe percorrere, con il ponte, oltre 50 km.
Ed in ogni caso, il servizio di traghettamento dovrebbe rimanere visto che il ponte potrebbe essere chiuso per molti giorni l’anno causa delle avverse condizioni atmosferiche.
Lo stesso impatto occupazionale sarebbe a termine, per opere come queste molta mano d’opera qualificata verrebbe dall’esterno con un impatto sociale negativo sui prezzi di case ed altro e, alla fine, di nuovo il vuoto.
Le stesse opere compensative, sono opere di corruzione fatta con soldi pubblici di cui le popolazioni avrebbero diritto. I danni ambientali stanno nella distruzione di un luogo unico e incantevole
Le obiezioni ingegneristiche sono relative ad un’opera così diversa dalle altre: per la lunghezza della campata ed il luogo in cui dovrebbe sorgere, che non paiono ancora risolte. Il fatto che il ponte debba essere costruito in una situazione di faglie che si muovono, di venti spesso impetuose, se per un verso è una sfida per la realizzazione, è nello stesso una sfida al buon senso al fine di trovare soluzioni meno costose e sicure.
Questo enorme problema è ben noto, soprattutto a chi oggi insiste che il Ponte sia immediatamente cantierabile. Infatti, non potendo cancellare la Calabria dalla faccia della Terra, rimane come unica idea quella di trasformare il nostro territorio in un cantiere infinito. È questa per la politica, nazionale e purtroppo anche locale, la risposta alle tante problematiche di questa terra. Il Ponte è un annuncio perenne, ma che ha già prodotto oltre ad un enorme quanto inutile spreco di denaro pubblico anche l’effetto di dirottare in altri lidi investimenti utili ad affrontare interventi più urgenti e prioritari.
Rammentiamo che il governo Meloni ha dirottato 1,6 miliardi di euro dal Fondo di Sviluppo e Coesione destinati alla Calabria e alla Sicilia sul Ponte, un’opera che non verrà mai costruita, congelando le somme fino al 2029. Un vero e proprio attacco alle popolazioni calabresi e siciliane, che si somma alla devastazione ambientale e sociale portata avanti dalle multinazionali dell’eolico e il benestare dell’attuale giunta regionale calabrese. Il Ponte è una mucca da mungere per consulenti e progettisti in attesa che ripartano studi e progettazioni infinite, magari per altri 50 anni e altri 500 milioni di euro, ma anche per i politici per i quali ha rappresentato un elemento di distrazione buono per tutte le campagne elettorali.
Non lo è di certo per i cittadini tutti, soprattutto calabresi e siciliani, che sapranno ancora una volta dire no a questa idea scellerata.