Presunti rifiuti radioattivi in Calabria, Legambiente aveva segnalato alla magistratura i casi in Aspromonte e a Montauro nel 1994 e ricostruito le vicende nel dossier del 1995 “Rifiuti radioattivi: il caso Italia”
Sul caso di Montauro vi erano perizie discordanti e analisi coperte da segreto istruttorio. “In attesa che l’esito delle indagini di queste ore faccia chiarezza, chiediamo che la Commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti, prosegua il lavoro sul fenomeno”…
Sulla presunta presenza di rifiuti radioattivi in Calabria, segnalata ieri nel servizio realizzato dalla trasmissione televisiva “Le Iene”, Legambiente aveva ricostruito i casi nel dossier del 1995 “Rifiuti radioattivi: Il caso Italia”, a seguito delle denunce che i circoli locali avevano presentato alla Magistratura nel marzo del 1994.
Con un esposto alla Procura, presso la Pretura di Reggio Calabria, erano state riportate notizie circa la presenza di discariche di rifiuti abusive in Aspromonte, in particolare nella zona tra la Limina e Cinquefrondi.
Relativamente alla vicenda sulle “navi dei veleni”, invece, Legambiente aveva segnalato anche le due testimonianze, riportate dal settimanale Cuore e raccolte dalla Procura della Repubblica di Catanzaro, che riguardavano il caso dei due pescatori di Montauro, in località Calalunga (CZ), e quella relativa allo spiaggiamento di alcuni fusti, di color giallo, immediatamente recuperati da due battelli (Isola Gialla e Corona). All’epoca dei fatti, sia il prefetto di Catanzaro che la Protezione Civile avevano smentito, a più riprese, l’esistenza di dati preoccupanti da un punto di vista sanitario.
Legambiente aveva chiesto che venissero resi pubblici, immediatamente, i risultati delle analisi. Le informazioni fornite furono parziali perché alcune delle analisi eseguite erano coperte da segreto istruttorio. Secondo informazioni che Legambiente aveva acquisito, esistevano perizie discordanti. Sempre nello stesso dossier, l’Associazione aveva ripreso anche le denunce fatte sugli strani spostamenti di navi sulle coste calabresi. Di queste vicende si occupò la pretura di Reggio Calabria, da cui nacque la collaborazione con il Capitano Natale De Grazia.
Già allora l’Associazione ambientalista chiedeva al Governo e al Parlamento norme adeguate per evitare la proliferazione di attività private e traffici illegali. È in questi anni che Legambiente conia il termine “Ecomafia” ed intraprende una battaglia durata 20 lunghi anni che ha portato lo scorso anno all’entrata in vigore della Legge sugli ecoreati e successive integrazioni che oggi permettono un quadro normativo finalmente efficace contro questo genere di reati: casi e storie analizzate nei dossier annuali e raccolti nel volume di Legambiente “1994-2015. Storia di una lunga marcia contro l’ecomafia in nome del popolo inquinato”.
“In attesa che si faccia chiarezza dopo l’esito delle indagini che in queste ore stanno svolgendo i Carabinieri della Compagnia di Soverato guidati dal tenente Gerardo De Siena, in collaborazione con gli uomini del Noe di Catanzaro e del Nucleo Nucleare-Biologico-Chimico-Radiologico (NBCR) dei Vigili del Fuoco di Catanzaro e coordinati dalla Procura del capoluogo,
Legambiente chiede che la Commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti, presieduta dall’onorevole Alessandro Bratti, prosegua il lavoro concluso nella scorsa legislatura che ebbe come esito finale, il 28 febbraio 2013, l’approvazione dell’ottima relazione sul fenomeno delle navi a perdere dalla parte della Commissione, i cui relatori furono proprio l’on. Bratti e l’on. Gaetano Pecorella”.
Inoltre, l’Associazione rivolge “l’appello anche alle Istituzioni nazionali e locali per giungere ad un approccio chiaro, esaustivo e determinato di una vicenda che continua a presentare pericolose zone d’ombra. I cittadini calabresi meritano risposte serie, poichè giustamente preoccupati e doppiamente vittime”.