Il referendum sulle trivelle di domenica 17 potrebbe saltare. Non per decisione del governo, che auspica il fallimento della consultazione, ma per l’ eventuale sentenza del Tar del Lazio che discuterà mercoledì 13 il ricorso dei Radicali per presunta violazione, da parte di palazzo Chigi, delle normative internazionali sottoscritte dall’ Italia in merito al diritto dei cittadini all’ informazione e alla partecipazione
Al referendum sulle trivelle del 17 aprile mancano solo dieci giorni, ma sulla consultazione si abbatte il ricorso dei Radicali al Tar: ad annunciarlo lo stesso partito, con un provvedimento firmato dal segretario Magi, dal presidente Marco Cappato, dalla deputata Muci.
Secondo i radicali, l’esecutivo ha tentato di “boicottare il referendum”, sia fissandolo in un data che non ha consentito una informazione corretta ed estesa sul quesito, sia predicando di fatto l’astensione, e quindi “violando il dovere di neutralità”.
Il Codice di buona condotta sui referendum del Consiglio d’Europa stabilisce che i cittadini abbiano accesso a materiale informativo imparziale prodotto sia dai sostenitori sia dagli oppositori della proposta referendaria, e che questi materiali informativi siano «pubblicati sulla gazzetta ufficiale largamente in anticipo rispetto alla data del voto» ed «inviati direttamente ai cittadini e ricevuti sufficientemente in anticipo rispetto alla data del voto» (art. 3.1.d.).
Il Governo ha invece emanato il decreto di indizione del referendum solo il 16 febbraio, cioè appena 62 giorni prima del referendum fissato appunto per il 17 aprile, e lo ha fatto senza consultare preventivamente i promotori del referendum né verificare l’effettiva disponibilità dell’informazione ai cittadini, cioè senza avere valutato i tempi delle disposizioni impartite a Rai e TV private rispettivamente dalla Commissione parlamentare di Vigilanza e da AgCom.
Le quali Commissione di Vigilanza (per la Rai) e AgCom (per le televisioni private) hanno infatti approvato i regolamenti solo – rispettivamente – il 4 marzo il 7 marzo, cioè una ventina di giorni dopo l’indizione del referendum, così nei fatti facendo perdere circa il 30% del tempo utile alla formazione della pubblica opinione. Le prime tribune referendarie in Rai sono state organizzate infatti solo il 29 marzo, quando cioè era già trascorso il 60% del tempo utile alla campagna referendaria.
Per i radicali, si tratta “di un’iniziativa per fare chiarezza a tutela dei diritti dei cittadini”. Per questo al ricorso si affianca una denuncia alla procura della Repubblica per verificare l’ipotesi di reato di induzione all’astensione.
I radicali contestano anche la presenta incompatibilità dell’accorpamento referendum-voto amministrativo, sostenendo che sia possibile farlo. Lo scorso febbraio, il ministro Alfano, in un’interrogazione alla Camera, in merito all’accorpamento aveva parlato di “difficoltà di natura tecnica, non superabili in via amministrativa” e della necessita “dell’approvazione di un’apposita legge” ma aveva anche spiegato che la legge che disciplina l’istituto referendario non contiene “espresse previsioni sulla possibilità o meno di abbinare il referendum abrogativo con le consultazioni elettorali amministrative”.
Questioni di metodo quindi, sulla data, ma anche di merito, perché i radicali pongono più in generale il problema del richiamo all’astensione, che ha spaccato anche il Pd al suo interno, o alla passeggiata fuori porta, come da tradizione già vista in passato.
Obiettivo quindi il rinvio, e il possibile accorpamento con le amministrative: il Tribunale amministrativo del Lazio ne discuterà il prossimo 13 aprile, ma ci sarebbe comunque tempo per impugnare il verdetto al Consiglio di Stato. I radicali, di fronte poi alla più negativa delle ipotesi, vorrebbero portare in giudizio l’Italia “davanti al Comitato diritti umani dell’Onu per violazione del Patto internazionale sui diritti civili e politici”.
Fonte: La Stampa