Nella notte tra il 4 e il 5 marzo si è consumata una staffetta. La campagna elettorale politica ha passato il testimone alla campagna elettorale regionale. Il candidato in pectore del centrodestra Mario Occhiuto ha declinato le sue intenzioni ed è già in gara.
Questo schieramento è da tempo impegnato in casting e shopping. Già, perché questo tipo di competizione deve partire almeno un anno prima per accatastare legna per le stagioni che verranno, e poiché in Calabria c’è la regola dell’alternanza bisogna assicurarsi l’appoggio di quella area centrale che può stare in qualsiasi coalizione.
Da questo punto di vista c’è chi si è mosso in tempi non sospetti, come il consigliere regionale di Vibo Valentia Vincenzo Pasqua che ha dato un contributo determinante per le vittorie di Giuseppe Mangialavori e Wanda Ferro. Lo stesso impegno l’ha profuso il consigliere regionale Francesco Cannizzaro che ha, per Forza Italia, raggiunto il quoziente più alto in Italia.
Una battuta d’arresto l’hanno avuto i centristi. In generale il reparto ortopedico della politica, le quarte gambe per intenderci. Si pensi alla bocciatura di Francesco Talarico (ma ci è andato vicino), Pino Galati (candidato anche ad Avellino), Mario Tassone, Paolo Naccarato, Andrea Gentile, Stefania Covello, quest’ultima candidata dem a Napoli.
Ma la situazione è asimmetrica se si pensa che il Movimento 5 stelle, che in Calabria ha preso la bellezza di 400 mila voti, non è presente nel Consiglio regionale. Certo, si stanno attrezzando anche loro, però oggi non possono incidere più di tanto nel dibattito regionale. Nello schieramento di centrosinistra si sta elaborando il lutto della sconfitta, ma con disincanto e dispersione di tossine. Quelli arrabbiatissimi perché non sono stati candidati se ne sono fatti una ragione, almeno hanno risparmiato i soldi dei manifesti, ma la rabbia rimane per le candidature blindate e per i salvataggi in zona Cesarini. Come quello di Marco Minniti a Venezia che, ora potrà, se vorrà, farsi sentire. Già, perché il Pd è una pentola a pressione.
La responsabilità dell’azione di governo regionale non tutti la vivono e la interpretano allo stesso modo. Ci sono alcuni che fanno, e non lo nascondono, gli amici del Giaguaro. Cioè, fuoco amico.Il senatore Ernesto Magorno rompe il silenzio e dice: «Dal momento che lo scorso 23 febbraio si è formalmente concluso il mandato della segreteria regionale uscente, a breve saranno convocati gli organismi di partito per avviare la campagna congressuale e stabilire in maniera collegiale il percorso che ci porterà all’elezione del nuovo segretario».
Tutto qui? Tutto qui. Chi usa un altro tono sono i rappresentanti della mozione Emiliano, “Fronte democratico”, Italo Reale, Nini Sprizzi, Giovanni Manoccio, Franco Madeo e Renzo Reda che, fra l’altro, dicono: «Si dimetta Magorno per aprire una nuova fase che non si deve concludere con primarie in cui votano centinaia di persone che poi non voteranno Pd ma che imposti un ragionamento sulle cose e sui problemi che diventi agire e politica. Bisogna provare a costruire una gestione unitaria del partito che deve diventare un interlocutore serio del presidente della giunta regionale e non un suo servo sciocco, come è stato sinora, con il risultato che abbiamo davanti e che pagheremo nuovamente quando si tratterà di votare per il governo della Calabria».
Ma la segreteria regionale del Pd ha cessato le sue funzioni dal 23 febbraio scorso. Ora è nella terra di nessuno.