La sentenza della Corte Costituzionale n.18/2019 depositata il 14 febbraio riaccende i riflettori sul dissesto finanziario degli enti locali, sbarrando la strada in maniera definitiva alla possibilità di spalmare i debiti su lungo periodo al fine di evitare il default.
Per la Corte costituzionale è incostituzionale la disposizione che consente agli enti locali in stato di predissesto di ricorrere all’indebitamento per gestire in disavanzo la spesa corrente per un trentennio. La Consulta si è espressa con la sentenza n. 18 depositata il 14 febbraio (relatore Aldo Carosi) nella quale si sottolinea che la disposizione incriminata scarica sulle generazioni future gli oneri conseguenti ai prestiti e viola il principio di rappresentanza democratica.
NECESSARIO UN PIANO DI RIENTRO DAL DEBITO
La procedura di prevenzione dal dissesto degli enti locali è costituzionalmente legittima, ha affermato la Consulta, solo se supportata da un piano di rientro strutturale di breve periodo. Il legislatore statale, sulla base dei principi del federalismo solidale, può destinare nuove risorse per risanare gli enti che amministrano le comunità più povere, ma non può consentire agli enti, che presentano bilanci strutturalmente deficitari, di sopravvivere per decenni attraverso la leva dell’indebitamento. Quest’ultimo, ha rilevato la Corte, deve essere riservato, in conformità all’articolo 119 della Costituzione, alle sole spese di investimento (cosiddetta “regola aurea”).
LE TRE RAGIONI DELL’INCOSTITUZIONALITÀ
Per la prima volta la Consulta è stata chiamata a pronunciarsi su una questione incidentale promossa da una sezione regionale della Corte dei conti in sede di controllo sulla corretta attuazione della procedura di predissesto degli enti locali. La disposizione annullata è stata dichiarata in contrasto con gli articoli 81 e 97 della Costituzione sotto tre diversi profili: violazione dell’equilibrio del bilancio, in relazione alla maggiore spesa corrente autorizzata nell’arco del trentennio; violazione dell’equità intergenerazionale, per aver caricato sui futuri amministrati gli oneri conseguenti ai prestiti contratti nel trentennio per alimentare la spesa corrente; violazione del principio di rappresentanza democratica, in quanto sottrae agli elettori e agli amministrati la possibilità di giudicare gli amministratori sulla base dei risultati raggiunti e delle risorse effettivamente impiegate nel corso del loro mandato.
NECESSARIO RISPETTARE L’ART. 119 DELLA COSTITUZIONE
«La regola aurea contenuta nell’articolo 119, sesto comma, della Costituzione dimostra», si legge nella sentenza, «come l’indebitamento debba essere finalizzato e riservato unicamente agli investimenti in modo da determinare un tendenziale equilibrio tra la dimensione dei suoi costi e i benefici recati nel tempo alle collettività amministrate. Di fronte all’impossibilità di risanare strutturalmente l’ente in disavanzo, la procedura del predissesto non può essere procrastinata in modo irragionevole, dovendosi necessariamente porre una cesura con il passato».
Una sentenza che riguarda molto i comuni calabresi visto il primato numerico di comuni in dissesto o predissesto.
Cosa succede adesso al comune di Soverato, alla luce di questo pronunciamento? Secondo Antonello Gagliardi, esponente politico del movimento “Semplicemente Soverato”, “non ci sarebbe più spazio per una eventuale approvazione del piano di riequilibrio”. E aggiunge che “la risposta da parte della commissione ministeriale” – che avrebbe dovuto pronunciarsi entro 60 giorni dal 28 febbraio 2018 – (data dell’ultima rimodulazione del piano di riequilibrio da 10 a 15 anni), “non c’è stata perché probabilmente si aspettava questa sentenza”.
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