Il destino della Sila è nelle mani dei cittadini, delle imprese e delle istituzioni sane che devono saper reagire in maniera forte e autorevole
La maxi inchiesta Stige della DDA di Catanzaro coordinata dal procuratore Nicola Gratteri restituisce una realtà criminale del territorio che va dall’alto jonio all’altopiano silano tra le province di Crotone e Cosenza estremamente preoccupante perché, secondo gli investigatori che sono riusciti a ricostruire 15 anni di storia criminale del clan Farao-Marincola, la presenza delle cosche negli enti locali mette a rischio la stessa libertà di voto.
Gli investigatori, oltre a chiedere ai calabresi di reagire, hanno sottolineano pure che la pericolosità della ‘ndrangheta non è solo nella sua capacità di controllare il territorio, ma anche nella sua enorme ricchezza che gli consente una straordinaria capacità corruttiva.
La struttura criminale del clan Farao-Marincola viene descritta così radicata nel territorio che non necessita neanche più di fare intimidazioni, non serve poiché la stessa ‘ndrangheta ha subito una sorta di mutazione genetica tale che, dalle solite infiltrazioni dei clan nella vita economica, si è passati a una immedesimazione completa tra ‘ndrangheta e imprenditoria.
Una cosca strutturata come una vera a propria holding criminale capace di gestire affari per milioni di euro, a cui sono stati sequestrati beni per oltre 50 milioni di euro, patrimoni accumulati illecitamente nel corso degli anni che aveva raggiunto una pervasiva infiltrazione mafiosa in diversi settori economico-imprenditoriali sottolineata dalle 57 aziende sequestrate (commercio di prodotti vinicoli e alimentari, raccolta dei rifiuti, servizi funebri, appalti pubblici, settore boschivo, accoglienza immigrati) garantita da una fitta rete di connivenze da parte di amministratori e funzionari pubblici.
Infatti, tra gli arrestati figurano il presidente della Provincia di Crotone e sindaco di Cirò Marina (KR), ritenuto dagli inquirenti il rappresentante della cosca nelle istituzioni locali, ma anche il sindaco di Strongoli (KR), quello di Mandatoriccio (CS), il vicesindaco di Casabona (KR) e l’ex vicesindaco di San Giovanni in Fiore (CS), a sottolineare, secondo la ricostruzione degli inquirenti, che la ‘ndrangheta abbia messo nelle istituzioni locali suoi uomini funzionali agli interessi dell’organizzazione criminale che è un dato grave e preoccupante.
L’inchiesta svela anche un attacco criminale all’ambiente e alle attività boschive, la principale attività economica presente in Sila, e gli affari della ‘ndrangheta nel settore boschivo sono il filo rosso che tiene unito un territorio che amministrativamente è separato, ed è la Sila con il suo Parco nazionale l’epicentro e il teatro in cui si svolgono le azioni criminali del clan.
Lo sfruttamento illegale dei boschi, il pascolo non autorizzato sulle terre pubbliche, la gestione delle aste boschive delle proprietà forestali pubbliche, oltre al controllo della filiera dei prodotti di origine forestale, sono una parte corposa del business criminale che l’inchiesta Stige ha accertato. Per gestire tutti questi affari sporchi, oltre alla corruzione di funzionari pubblici e alla complicità di amministratori locali, il clan ha messo in atto un modello organizzativo estremamente efficace che prevede la “delega” completa sul controllo delle attività illecite nel settore forestale a un uomo di fiducia che sovraintende su tutto il territorio del Parco nazionale.
Un plenipotenziario della ‘ndrangheta per la Sila che gestisce i traffici illeciti, condiziona la politica, corrompe funzionari pubblici, convince gli imprenditori riottosi a far parte del sistema illegale, e distribuisce utili ai clan. Insomma una gestione “manageriale” del crimine organizzato che è il punto di forza del clan Farao-Marincola, grazie al quale può operare fuori dalla sua provincia di riferimento con il placet degli altri locali di ‘ndrangheta, che in cambio ottengono una parte dei proventi degli affari illeciti del settore boschivo, e soprattutto si possono rivolgere al locale di Cirò nel caso serva ospitare latitanti di ‘ndrangheta in Sila.
Un territorio dunque sotto il giogo della ‘ndrangheta che controlla tutto l’altopiano silano, sia che si tratti di sostegno ai latitanti che di gestire appalti boschivi pubblici e privati, tenere i rapporti con le diverse organizzazioni criminali territoriali, assicurare una suddivisione dei proventi secondo una logica spartitoria che tiene in debita considerazione il peso criminale delle diverse organizzazioni, e soprattutto rapinando le risorse naturali del Parco inquinando quel poco di economia locale esistente rendendo imprese all’apparenza sane strumenti per ingrassare l’economia criminale. Ma non è questo il destino della Sila, ricca di risorse naturali che non sono destinate a essere depredate da chi vuole ottenere facili guadagni e mette in atto sistemi mafiosi pur di ottenere i suoi obiettivi.
Esiste un tessuto connettivo di imprese boschive, oggi sotto il giogo della ‘ndrangheta, che possono essere recuperate e liberate dalla dipendenza criminale a condizione che tutto il sistema delle istituzioni riprenda in mano il destino delle sue comunità che devono crescere nella legalità e nella gestione sostenibile delle risorse. Perché in questi anni è venuto meno il presidio di legalità rappresentato da istituzioni forti e consapevoli del loro ruolo, amministratori locali che devono gestire bene il territorio, funzionari pubblici che devono controllare ed essere in grado di contrastare la “montagna di merda” rappresentata da questa ‘ndrangheta e da questi imprenditori del crimine.
In questi anni abbiamo denunciato in più occasioni il pascolo abusivo, il taglio indiscriminato di aree boscate, l’abusivismo edilizio, il bracconaggio e l’uccisione illegale di fauna selvatica protetta, l’utilizzo improprio di beni pubblici nel territorio del Parco nazionale della Sila.
Abbiamo chiesto il ripristino della legalità, senza ottenere adeguate risposte dai rappresentanti di quelle stesse istituzioni che oggi l’inchiesta Stige mette sul banco degli imputati. Avevamo avuto sentore, perché la Sila la frequentiamo e con le persone ci parliamo, che insieme alla crescita delle illegalità che denunciavamo stava aumentando il degrado di una classe politica disponibile a qualsiasi compromesso pur di stare a galla. Ma le nostre denunce non sono state in grado di scuotere nemmeno l’opinione pubblica, non solo perché chi le doveva raccogliere scopriamo essere complice del malaffare, ma soprattutto perché in troppi si sono voltati dall’altra parte per convenienza o quieto vivere.
Ai cittadini e alle comunità locali silane tocca però reagire e lavorare alacremente per ripristinare 77gli anticorpi per ritornare a essere padroni del proprio destino. Per ridisegnare uno scenario positivo e sostenibile per l’altopiano silano e la sua economia e rispondere all’appello degli investigatori che avvertono i calabresi dei rischi che corre la democrazia se vince la ‘ndrangheta.
Noi siamo pronti a continuare fare la nostra parte, ma da soli non bastiamo.