
“Rigenerare la Città diffusa, ovvero Fermare la desertificazione dei centri storici e Fecondare la dispersione urbana della marina”
Gentilissimi Sindaci, è questa una lettera aperta di amore/dolore per questa splendida area geografica da Voi amministrata.
“… non bisogna perdere altro tempo ma nel frattempo vorrei che i “comurbani” si preparassero a influenzare sin da subito le decisioni pubbliche su come dare buone risposte locali, perché la nostra, pur città sfrangiata, è per molti versi unici e irripetibili, perché è fatta: di donne e di uomini, di bambine e bambini, di pianti accorati e di gioie improvvise, della loro quotidianità di lavori e di sudori, di economie e di stenti, di preghiere e di scongiuri, di emigrazioni e di immigrazioni, di sole, cielo, fiumare, mari, panorami mozzafiato, pianura verde, incantevoli colline e monti disegnati all’orizzonte lontano, ricco di storia e di culture, quindi di memoria.
In questo quadro, gli antichi nuclei urbani prima si sono degradati, poi quasi scomparsi come valore d’uso per la manifesta inessenzialità, mentre mantengono a mala pena solo il valore di scambio.
Lo spopolamento e il conseguente spaesamento hanno contribuito alla perdita della stessa essenza di vita.
Questo è avvenuto anche altrove, ad ogni scala urbana, anche se i piccoli nuclei storici, non solo i nostri, stanno correndo più velocemente a trasformarsi in molteplici Ghost Town (città fantasma).
La nostra città si configura come periferia continua, sfrangiata ed inconclusa, certo non fotogenica, anche se è pur ricca di umanità. I centri storici desertificati sono fotogenici ma sono stati resi ancor più poveri dall’assenza di umanità. Questo il drammatico scenario di non facile ricomposizione.
A quello che rimane dalla storia urbana, poiché gli è appartenuta la vita, abbiamo il dovere di farlo costituire in memoria attiva e parlante, indagando sulle eventuali cause “naturali” per la loro lenta sparizione e pensare come riusare – se possibile – nei limiti della loro capacità, senza mai far perdere la loro identità, che pur venendo dalla storia, oggi rimane attualizzata solo in solitari e commoventi resti spaziali.
Intanto nel “nuovo” territorio il risultato è la tristezza delle edificazioni.
La città dell’urban sprawl (delle frattaglie urbane) non corrisponde più a un organismo, a un progetto, ma si presenta come una rete indefinita di relazioni virtuali, senza un centro, senza una mappa di relazioni attive, cioè senza quelle armonie di un sistema riconoscibile come unitario.
Nessuno ABC della Bellezza sarà in grado di spiegare alle insofferenze che si sono create che certo non possono essere addebitate colpe ad una generica distribuzione delle responsabilità.
CHE FARE PER RIGENERARE IL TERRITORIO FRANTUMATO?
Per rispondere all’incapacità di creare più cuori, in questo territorio che si espande senza fine, abbiamo bisogno di soluzioni urgenti affinché il “nostro” sia il più possibile: compatto, inclusivo, partecipativo, resiliente, sicuro e sostenibile.
Da qui la necessità improcrastinabile di interventi complessi, non solo di pianificazione urbanistica, che promuovendo la Rigenerazione territoriale, riescano a limitare gli ormai inutili fenomeni di ulteriore consumo di suolo. Questo potrà consentire, invece, la costruzione di nuovi interventi fecondativi che potranno concorrere allo storico processo dell’identità positiva dei nostri luoghi.
Mi rendo conto che i tempi nella costituzione identitaria dei luoghi è molto lunga, ma la velocità di mutamenti sociali e culturali oggi è più veloce che in passato, per cui dobbiamo avere capacità e fantasia per attivare progetti strategici di lungo periodo e allo stesso tempo operazioni tattiche in quello breve.
OGGI serve Rifecondare per Riqualificare per Rigenerare. Operazioni non di semplice rammendo fra le parti rese ancor più povere dal loro isolamento, ma partire da
cuciture necessarie a sanare una crescita asincrona e frettolosa, tante volte soffocante, molto spesso diradata fino allo sfilacciamento, penetrato e frammischiato nella campagna che, anche essa, non è più quella produttiva come ci proveniva dal suo passato.
Ma non si producono effetti per autopropulsione.
Per affermare nel concreto IL DIRITTO ALLA CITTÀ occorre che la politica promuova l’elevazione di programmi in cui la partecipazione di abitanti e cittadini può manifestare i loro bisogni, perché questi siano base di ogni scenario in cui potrà operare la sostenibile fantasia degli architetti e urbanisti, il rigore dei sociologi, un diverso approccio degli economisti, una differente umiltà dei proprietari e degli imprenditori (spesso ispiratori padronali) – ovviamente non solo quelli dell’edilizia.
Siamo in forte ritardo per analizzare fino in fondo i livelli di vulnerabilità complessa.
Oggi servono altri strumenti di analisi per comprendere come le nostre città si siano tramutate in agglomerati di periferie che hanno divorato territorio esterno e al tempo stesso il loro cuore antico. La perversa metamorfosi non solo non è stata governata ma è sfuggita ad ogni controllo sia politico che sociale che economico.
Intanto, ai bisogni del breve periodo: le AGOPUNTURE URBANE, ma non solo!
Oggi, per rispondere all’incapacità di creare più cuori alla città diffusa che si è espansa senza fine abbiamo bisogno di risposte urgenti andando oltre la tattica urbanistica, perché la comunità resiliente non ha bisogno, qui e subito, di grandi progetti ma di una pluralità di interventi su piccola scala. Per iniziare!
Nell’immediato delle urgenze servono interventi con opportune agopunture urbane in quanto esse possono rappresentare i primissimi interventi di riabilitazione. Il processo rigenerativo del medio periodo dovrà riguardare principalmente la Riqualificazione morfo-tecnologica dell’esistente tessuto urbano e edilizio e la Riconnessione dei vuoti territoriali parzialmente urbanizzati anche con interventi a mixing funzionale.
Dunque, agopunture urbane (con varietà di scala: dalla città, al quartiere, alla strada) in quanto primissimi interventi di riabilitazione per andare verso il processo rigenerativo del medio periodo.
Oggi è tempo di prendere in considerazione le enormi potenzialità presenti nel territorio comunque antropizzato, a partire dagli spazi verdi pubblici non utilizzati e abbandonati dagli Enti pubblici, per riconvertirli in oasi urbane o “confortevoli lounge” dove trascorrere del tempo e incontrarsi.
Insomma, in un mondo attraversato dalla crisi e alla ricerca di nuovi stili di vita si può crescere partendo dal “piccolo” per ritrovare anche una dimensione di umanità e di positive relazioni sociali.
Se per sviluppare una superiore qualità urbana della Città servono certo una nuova biblioteca cartacea e multimediale e un campo sportivo, per migliorare la vita di un’area urbana nel breve può bastare un giardino curato – attrezzato con panche e aree di ombra, un percorso pedonale tra le abitazioni e la scuola, una serie di mancorrenti nelle scale pubbliche, percorsi ciclabili comunali e intercomunali, ove possibili, e ancora altri luoghi di incontri (non necessariamente magniloquenti) che facilitino la comunicazione e la
riunione sociale degli abitanti di questa nostra città. Nel contempo occorrerà avviare una serie organica di progetti per:
1. Strutturare interventi di promozione del territorio (dal turismo alberghiero di elevata qualità all’albergo orizzontale e diffuso) sostenuta da infrastrutture di adeguata mobilità: jogging, piste ciclabili, strade, ferrovia e finalmente portualità diportistica attraverso una scelta ubicativa oculata e condivisa.
2. Favorire infrastrutture incentivanti la neo-ruralità, verso un’Agricoltura sociale e di Comunità sia nelle aree interne sia in quelle prossime alla fascia costiera.
3. Sostenere la razionale e equa distribuzione nel territorio sub-comprensoriale dei servizi sociali primari, indispensabili ai bisogni delle persone, a partire dai disabili e dagli anziani.
In un territorio avviato alla rigenerazione vorrò immaginarmi nuovo flaneur – “botanico del marciapiede e dei verdi inconclusi” – e vagare lungo i 18 km, da San Sostene fino a Stalettì, girovagando per spiagge, strade comunali, già nazionali o provinciali, ma anche per i viottoli lungo le sponde delle fiumare che interconnettono alcune sequenze urbane.
Vorrò provare sensazioni positive procurate dall’esaltazione della bellezza dei panorami in lontananza ma anche dal riscatto finale di questa temporanea miseria dei luoghi di prossimità.
A questo punto vogliate operare in sinergia, perché avete troppe “cose” in comune, promuovendo iniziative che favoriscano in reciprocità conoscenza e risposte ai bisogni glo-locali di ogni territorio comunale.
Io sarò disponibile per ogni iniziativa vogliate, in comune, intraprendere. Buon Anno e buon lavoro insieme!
Antonio Raffaele Riverso – architetto