È durato meno di due anni il mandato della Giunta e del Consiglio comunale di Platì, piccolo paese della provincia di Reggio Calabria considerato roccaforte storica dei clan.
Arrampicato sulle pendici joniche dell’Aspromonte, casa delle più potenti famiglie di ‘ndrangheta della Locride, nel giugno del 2016 il paese era riuscito a darsi un sindaco dopo 10 anni di commissariamento per mafia.
Ma adesso nel palazzo comunale sono tornati i prefetti. Questa volta però la ‘ndrangheta non c’entra.
A condannare Platì ad una nuova stagione di gestione commissariale sono stati i consiglieri di maggioranza, che hanno voltato le spalle al sindaco Rosario Sergi.
In quattro nelle scorse settimane si sono dimessi, dimezzando il consiglio comunale già mutilato dall’abbandono in blocco dei consiglieri di opposizione, arrivato subito dopo le elezioni.
Il passato
All’epoca, la minoranza guidata dalla candidata sindaca sconfitta Ilaria Mittiga non aveva fatto passare neanche 24 ore dalla proclamazione del nuovo sindaco per dimettersi in blocco. Lo stesso avevano fatto tutti gli altri candidati della lista chiamati in surroga.
“Non ci sono le condizioni per lavorare insieme” aveva spiegato ai tempi Mittiga. Sebbene la commissione parlamentare antimafia avesse da subito acceso un faro su Sergi, a causa di “rapporti di affinità” con il clan Barbaro, la sua sfidante non aveva mai apertamente parlato di ‘ndrangheta.
“So che il mio modo di amministrare sarebbe stato libero e trasparente, ma non ho elementi per parlare degli altri” si era limitata a dire.
I veleni nella maggioranza
Due anni dopo, ad abbandonare Sergi è stata la sua stessa maggioranza. Ufficialmente, per “motivi personali”. Ufficiosamente, si dice in paese, per “insanabili controversie”. Orfano della sua maggioranza, Sergi sperava di poter continuare la propria esperienza amministrativa.
Per il 28 febbraio, aveva già convocato i “reduci” del Consiglio Comunale per procedere alla surroga dei dimissionari, ma la Prefettura ha bloccato tutto reputando assolutamente insufficiente la presenza di tre soli consiglieri più il sindaco per raggiungere il numero legale. L’ormai ex primo cittadino non ha però intenzione di fare ricorso.
“Al di là del fatto tecnico-legislativo – ha detto alla stampa locale – rimane il fatto politico innegabile, ovvero che i cittadini sono stati traditi due volte: prima dalla minoranza consiliare, i cui esponenti si dimisero subito dopo le elezioni, e poi dai quattro consiglieri dimissionari dei giorni scorsi”.
Questa volta, Sergi non ce l’ha con lo Stato, in passato accusato di eccessiva durezza nei confronti di Platì. Anzi, ha parole di miele nei confronti della Prefettura. “Devo ringraziare tutti, dallo Stato centrale all’ufficio del Governo. Stavolta – afferma – non è colpa loro. Purtroppo alcuni platiesi hanno deciso in autonomia che questa esperienza amministrativa dovesse finire”.
L’aspirante sindaco
Non canta vittoria, ma non riesce a nascondere una certa soddisfazione Anna Rita Leonardi, giovane militante del Pd calabrese, presentata da Renzi alla Leopolda come futuro sindaco di Platì, ma sei mesi dopo incapace di chiudere le liste per presentarsi.
A causa del boicottaggio del suo stesso partito, ha sempre dichiarato lei. “Per quasi due anni – ha scritto ieri in una nota – ho atteso in silenzio, sopportando il peso di chi sa di avere ragione.
E non starò qui a dirvi che avevo ragione io perché sono i fatti ad averlo dimostrato. Non starò qui a gioire perché, per l’ennesima volta, un popolo è stato preso in giro da “certa politica”. Non sarò io a dirvi tutto questo.
Perché – annuncia – lo ha fatto la storia per me”. In realtà, al momento non c’è nulla di chiaro. Per i prossimi giorni, l’ex sindaco Sergi ha annunciato una conferenza stampa per svelare i reali motivi delle dimissioni dei suoi ex consiglieri. I diretti interessati invece tacciono. Nel frattempo, in Comune è tornato il commissario.