Permettetemi, carissimi calabresi, di farvi giungere i miei auguri per queste festività pasquali che ci trovano, una volta ancora, nel territorio della sofferenza:
il lavoro che non c’è, la ’ndrangheta che si espande, il malcostume che dilaga, i giovani che continuano a partire per terre lontane, l’ecosistema che viene squilibrato da scelte sciagurate.
E su tutto continua ad aleggiare lo spettro della pandemia, che mette a nudo non solo le deficienze antiche di un sistema sanitario a brandelli, ma anche l’architettura complessiva di una società e di un modello economico che, qui più che altrove, dimostra i propri limiti e debolezze nel momento in cui riafferma – errando – la volontà di perseguire il profitto anteponendolo alla cura ed all’interesse della persona.
Ce lo ha ricordato papa Francesco: «In questi ultimi tempi, le sfide che la società sta affrontando sono innumerevoli: la pandemia e il lavoro nel mondo del post Covid, le cure da assicurare a tutti, la difesa della vita, gli input che ci vengono dall’intelligenza artificiale, la salvaguardia del creato, la minaccia antidemocratica e l’urgenza della fratellanza.
Guai a noi se in tale impegno evangelizzatore, separassimo il “il grido dei poveri” dal “grido della terra”». Insomma, è tale e tanta la gravità dei problemi che la quotidianità pone che sembra difficile intravedere una possibile via d’uscita.
Ancor di più, essa pare stridere – e non poco – con la luminosità e la speranza che accompagna la Pasqua cristiana. Eppure, la rassegnazione e la resa non sono la soluzione a questi mali, che anzi del fatalismo, con cui spesso e volentieri ci si è fatti scudo, sono la drammatica, pesante conseguenza. Ridestatevi, liberate le coscienze dalle catene della sopraffazione, lasciate salire fino al cielo il grido dei poveri, dice anche il Santo Padre.
Cos’è la Pasqua, se non liberazione dal peccato e dall’ingiustizia, sguardo oltre i confini del presente, con il cuore lanciato al di là di ogni ostacolo, a sperare contro ogni speranza? È il primo passo, il seme da piantare per veder germogliare il cambiamento che vogliamo, di uomini e donne anzitutto.
Il mio augurio è che questo possa avvenire, per noi e per la nostra terra amata di Calabria, prendendo a riferimento i tanti testimoni di fede e impegno civile di cui è ricco il nostro Meridione, come ad esempio Rosario Livatino.
Questo magistrato, che prossimamente sarà proclamato dalla Chiesa Beato, in quanto “martire della fede”, si è lasciato illuminare dalla luce della fede anche nel suo delicatissimo lavoro. Uomo giusto, ingiustamente ucciso, per amore del Vangelo, della sua gente, della sua terra.
Nessuno, insomma, è luce per sé, in quanto non si accende una lampada per metterla sotto il moggio, bensì sul candeliere perché faccia luce. Come Cristo che risorge in mezzo alla devastazione dei cuori e delle menti, allora, possa ognuno di noi rischiarare se stesso e il prossimo, per rendere migliori la propria esistenza e quella degli altri.
Di cuore, auguri. Buona Pasqua.
Vincenzo Bertolone
Arcivescovo Metropolita di
Catanzaro-Squillace
Presidente CEC